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Parole, immagini e musica per rievocare il Tempo di Chet

Sabato 17 novembre, alle ore 21 apre il cartellone del Teatro Nuovo di San marino Tempo di Chet – la versione di Chet Baker, che vedrà in scena il trombettista Paolo Fresu.
Tempo di Chet, che è prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano ed ha debuttato una decina di giorni fa, nasce dalla fusione e dalla sovrapposizione tra scrittura drammaturgica e partitura musicale, creando un unico flusso organico di parole, immagini e musica per rievocare lo stile lirico e intimista di questo jazzista tanto maledetto quanto leggendario. Un momento di teatro da non perdere: raro per appeal, finezza, potenza evocativa. Paolo Fresu alla tromba, Dino Rubino al piano, Marco Bardoscia al contrabbasso sono le voci evocative di un cast composto, per la dimensione attoriale, da Alessandro Averone, Rufin Doh, Simone Luglio, Debora Mancini, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Graziano Piazza e Laura Pozone.
Uno straziante assolo di tromba sfuma nell’immagine di un uomo crollato sul bancone di un bar. È Chet: fra sogno e ricordo, lo visiteranno le ombre del suo passato, quasi sempre recriminando. I genitori, i figli, gli amici ed i rivali nella musica, le donne, i critici, i fan, i pusher, evocheranno episodi della sua vita, dalla prima tromba, messagli in mano dal padre da bambino, ai momenti di genio, e a quelli “maledetti” degli eccessi, fino al volo fatale, dai contorni rimasti sempre poco chiari, dalla finestra di un hotel di Amsterdam.

«Se la sua vita e la sua morte sono ancora oggi avvolte dal mistero, la sua musica era straordinariamente limpida, logica e trasparente» commenta ammirato Paolo Fresu. «Forse una delle più razionali e architettonicamente perfette della storia del jazz. Analizzando tutti i suoi assolo è raro trovarvi una nota fuori posto. L’impressione è di essere davanti a una struttura ideata con estrema chiarezza, dove ogni suono si incastra in un ricco mosaico assemblato in forme perfette e con tasselli dai colori sgargianti che bene si amalgamano tra loro. Ci si chiede dunque come mai la complessità dell’uomo e il suo apparente disordine (conflittuale?) abbiano potuto esprimersi in musica attraverso un rigore formale così logico e preciso. Lungi da noi il volere dare risposte». 


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